Il progetto Upper e l’amministrazione condivisa
Intervista all’assessora Cristina Leggio sull’amministrazione condivisa, i punti di forza e le prospettive future
Contributo di Alessandro De Grandi, dottore in Giurisprudenza con tesi “L’Amministrazione condivisa dei beni comuni. Il progetto Upper del Comune di Latina”
Per la mia tesi ho affrontato il discorso dell’amministrazione condivisa utilizzando una metodologia di lavoro che cercasse di esplicitare come essa sia la sedimentazione di un percorso di interpretazione congiunta tra il concetto di sussidiarietà che emerge dal diritto dell’Unione Europea e la centralità del cittadino all’interno del meccanismo repubblicano e costituzionale.
Per quanto il discorso teorico possa essere affascinante, soprattutto per i tecnici del settore, non si può davvero esaminare l’amministrazione condivisa senza averne esperienza diretta. Grazie, quindi, alla disponibilità e alla competenza dell’assessore Leggio che mi ha concesso quest’intervista, ho avuto l’opportunità di verificare empiricamente cosa vuol dire introdurre un percorso di tale portata, rivoluzionario all’interno di un contesto burocratico complesso come può essere la macchina amministrativa di un comune esteso come quello di Latina.
Nella mia tesi ho cercato di adottare un metodo induttivo che potesse esporre nella maniera più completa possibile lo strumento del regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni e la relazione con il progetto Upper. Ho focalizzato la mia attenzione soprattutto sulla fase di co-programmazione e co-progettazione: gli Upper City Lab sono già stati avviati, come si strutturerà in seguito la relazione tra amministrazione e cittadini in ottica di condivisione?
«Sono modelli che saranno studiati all’interno di Upper, in quanto nasce come sperimentazione in relazione alla definizione di nuovi modelli di gestione di luoghi pubblici e di luoghi di comunità. Sappiamo già che all’interno di quel modello il percorso dell’amministrazione condivisa avrà una sua attuazione ma il come è una parte del progetto stesso. Una caratteristica del progetto Upper è proprio che i parchi devono avere una propria sostenibilità economica: sono luoghi che producono, che quindi generano un ritorno economico, magari non un profitto vero e proprio, ma un indotto che gli permetta di auto-sostenersi. Quindi c’è tutto un aspetto di modellazione di una nuova economia di comunità che non è soltanto la cura di un bene, ma la costruzione di un nuovo valore legato alla dignità di chi vi partecipa.»
L’assenza di profitto è uno degli aspetti principali del programma, cioè la caratteristica che distingue l’amministrazione condivisa da, per esempio, la figura del baratto amministrativo. Sulla base di quanto detto e dei tre anni di lavoro sull’adozione dell’amministrazione condivisa a Latina, quali valutazioni possono essere tratte?
«C’è tanto lavoro da fare ancora. Il Regolamento dei beni comuni è uno strumento che permette l’aprirsi di uno spazio in cui fare cose. In questo spazio si inseriscono numerosi attori: una componente sono i cittadini attivi, e ce ne sono molti a Latina e molti attivi da ben prima dell’adozione del regolamento, mentre tanti altri attraverso quest’esperienza hanno colto un’opportunità e si sono attivati. Però gli stessi cittadini hanno bisogno di crescere, costruire competenze e consapevolezze circa cosa vuol dire fare amministrazione condivisa. Che non è il sindacato del quartiere, senza nulla togliere all’azione importante di informazione e di segnalazione che i cittadini possano fare, ma l’amministrazione condivisa è un’altra cosa: non è dire “c’è questo bene, qualcuno me lo dia” quanto “c’è un problema, mettiamolo al centro e risolviamolo insieme”. Questo lavoro di condivisione della costruzione di risposte richiede un linguaggio condiviso, ridefinire dei ruoli, che non sono quelli soliti dell’istituzione che dà un servizio al cittadino che ne beneficia, ma una costruzione condivisa, quindi un percorso.»
«Alcune esperienze sono state soddisfacenti, altre meno, per una concorrenza di questioni. C’è sicuramente la parte dell’amministrazione che deve ricostruirsi e ripensarsi, anche nei rapporti con i cittadini: deve imparare a dare risposte sempre, perché ci sono lunghi tempi di attesa in cui avvengono cose all’interno della struttura amministrativa che da fuori non si percepiscono, e questo genera momenti di difficoltà. La struttura, oltre ad ottimizzare l’organizzazione interna per semplificare i processi, impara anche con fatica e con tempo un modo diverso di dialogare, improntato sulla fiducia, sulla lealtà, sull’onestà. Non che l’amministrazione non sia onesta, ma si esce, diciamo, dal modello burocratico di dialogo, dove ad una lettera corrisponde una lettera, e si entra in un dialogo vero e proprio, che ha dei tempi diversi, una frequenza maggiore, e che comunque grava su una struttura comunale che ovviamente non fa solo amministrazione condivisa, ma un’innumerevole quantità di altri servizi e progetti. Quindi c’è un lavoro veramente complesso in tal senso. Poi c’è un lavoro culturale, anche delle parti politiche, nel riuscire a non rendere di parte tale impostazione.»
Nel corso della mia tesi ho avuto a che fare con l’analisi delle politiche pubbliche e di come la burocratizzazione e la tecnicizzazione della pubblica amministrazione portino a compiere delle scelte conservative basandosi esclusivamente sul dato normativo senza prendere in considerazione la realtà empirica in cui si cerca di intervenire. Questo pericolo sembra essere scongiurato dalle modalità di confronto continuo dell’amministrazione condivisa, in cui la relazione paritaria permette una visione d’insieme delle problematiche. Da questo punto di vista, come si è organizzata l’amministrazione per formarsi su questo nuovo tipo di approccio?
«C’è stata la formazione che abbiamo fatto con l’associazione Labsus all’inizio del percorso, un ciclo di incontri che ha messo insieme chi nell’amministrazione interna si sarebbe poi occupato dell’attuazione del progetto e i cittadini che avevano dimostrato disponibilità a sperimentare questo nuovo approccio. Abbiamo fatto questo percorso su cos’è l’amministrazione condivisa e cosa si poteva fare insieme, oltre ad altri incontri negli anni che abbiamo fatto e che continueremo a fare perché è una competenza in continuo divenire, che si costruisce passo dopo passo.»
«Accanto c’è il percorso che stiamo facendo sulle Officine di città – case di quartiere, simile al modello di Torino, e la realtà che sta seguendo quei processi sta trasferendo competenze alle associazioni che si stanno muovendo su quel terreno. La formazione essenziale noi l’abbiamo fatta ma va sicuramente implementata e allargata ad altri soggetti, come quello del Terzo Settore, abituato a lavorare in un certo modo solo sul proprio e non sul complessivo, in un’ottica completamente nuova che ci porta a condividere le responsabilità e perdere potere, detto sinteticamente. Perdere il mio potere di controllo su un’area che è “mia”: qui si chiede di aprire i confini, di mischiare le competenze.»
Una delle chiavi mi sembra proprio l’informalità, cioè sulla prospettiva negoziale prima della sottoscrizione del patto di collaborazione, in cui uno spazio di manovra più libero permette di modellarsi sulla base delle necessità.
«Ti dico, nella nostra esperienza abbiamo tanto da fare ancora: ci sono infinite criticità perché la nostra esperienza sia in linea con quei principi. Li abbiamo condivisi, ma perché poi siano effettivamente realtà c’è ancora molto lavoro da fare. Ci sono situazioni in cui i cittadini hanno deciso di non rinnovare i patti di collaborazione sottoscritti con noi perché non ne hanno condiviso lo spirito dall’inizio o talvolta perché non sono rimasti soddisfatti da come si è sviluppata la relazione. È essenziale far tesoro di queste esperienze per capire cosa non ha funzionato, da tutte le parti ovviamente, magari un presupposto errato o una mancanza. Il patto è una scelta, quindi ci può stare che certe persone vogliano farlo per poi cambiare idea. Una cosa di cui sono sicura è che vada fatto finché persiste il senso di gratuità della propria azione: nel momento in cui ci si sente in perdita, vuol dire che sta saltando qualcosa all’interno del processo.»
Il quadro che emerge dall’intervista evidenzia i punti critici dell’amministrazione condivisa. D’altronde è assolutamente inevitabile che uno strumento così giovane e flessibile incontri delle situazioni di difficoltà nel suo attraversare la struttura delle pubbliche amministrazioni. Ciò che però comporta il suo punto debole risulta essere anche il suo punto di forza: come ogni elemento di vera rivoluzione, l’amministrazione condivisa spinge a modificare l’approccio mentale e psicologico verso l’instaurazione di un rapporto collaborativo con il cittadino. Sarà, infatti, l’energia dei cittadini attivi a far vivere i patti di collaborazione, passando da essere oggetto a soggetto vero dell’azione amministrativa.
Da qui si apre un ventaglio di possibilità grande tanto quanto lo è la fantasia di chi partecipa: ogni progetto sarà condiviso e preso in considerazione dall’amministrazione, nell’ottica di un nuovo esercizio di volontà politica. Il progetto Upper, da questo punto di vista, si dimostra essere più della somma delle sue parti, rendendosi prototipo di un nuovo modo di pensare sé stessi all’interno della propria città.